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Quel caseggiato di Contrada Casazza testimone della storia che vedemmo con i nostri occhi

Antonio Cammarana

Verso la fine degli Anni Cinquanta, ogni mattina, assieme a tanti ragazzi e ragazze della mia età, con l’autobus dell’AST, che da Acate ci portava a Vittoria, raggiungevo la Scuola Media Statale “Vittoria Colonna”.

Contrada Casazza Acate 1
Appena un chilometro oltre il centro abitato, in contrada Casazza, alla mia destra, vedevo una trazzera che recava a un complesso di case rurali, di cui si scorgevano le tegole dei tetti e parte delle mura. Proprio all’inizio del sentiero di campagna c’era una struttura a forma di piramide d’imprecisato materiale, che poggiava su quattro grossi tubi di ferro e che aveva al suo vertice una croce.

Contrada Casazza Acate 2
Per otto anni di seguito, tranne le domeniche e i giorni di vacanza, vidi, due volte al giorno, questa scheletrica ed enigmatica costruzione, immaginando spesso che fosse un posto di guardia per consentire o vietare l’accesso al casale; per otto anni di seguito, almeno una o due volte la settimana, sentii la voce del bigliettaio dell’autobus dire al collega conduttore di fermare il mezzo per fare salire o scendere diverse persone che andavano o venivano da lì. Dopo le Medie e le Superiori non salii più sul mezzo pubblico per Vittoria, gli studi universitari mi portarono a Catania, l’insegnamento mi catapultò in Piemonte a Chieri, a Beinasco, a Carmagnola, a Torino. Non dimenticai però la piramide con la croce, né la trazzera che portava al caseggiato di campagna, che rividi quando, tornato nella mia terra di Sicilia, in macchina da Acate-antica Biscari mi recavo a Vittoria. Nel giugno del 2013, l’amico Stefano Pepi mi fece dono del volume “Obiettivo Biscari” sullo sbarco anglo americano in Sicilia del luglio 1943, scritto assieme a Domenico Anfora e con la Prefazione di Giovanni Iacono per la Casa Editrice Mursia di Milano. L’introduzione al testo, firmata dai due Autori, mi fece tornare indietro nel tempo ai miei undici anni, allorquando in autobus passavo in Contrada Casazza e vedevo la piramide e la grande costruzione. Dopo la presentazione del libro alla Società Operaia di Mutuo Soccorso “Giuseppe Garibaldi” del mio Paese, chiesi a Stefano di poter visitare il terreno e il fabbricato, chiamato Case Paternò di Contrada Casazza, da qualche anno acquistati dai suoi genitori. Fu in un pomeriggio di febbraio del 2014 che Stefano Pepi, Domenico Anfora, Giovanni Iacono e io raggiungemmo il posto. Così vidi da vicino quello che ritengo un monumento alla memoria eretto sia dai proprietari e dai contadini del luogo, sia dai soldati americani che da Vittoria (la prima città della Sicilia che si arrese agli Alleati) avanzavano verso Acate:
quattro grossi pali di ferro ormai arrugginiti – uno di essi corroso in tutta la parte mediana – sorreggono la cupola a piramide al cui vertice sta una croce ricavata da tubi di alluminio con otto buchi, quattro in orizzontale e quattro in verticale. Dalle testimonianze rilasciate dai proprietari a Stefano e ai suoi familiari attraverso i fori era avvitato alla croce un simbolo religioso celtico irlandese. Sotto la tettoia a forma piramidale, per molti anni, ci fu una statua di pietra raffigurante San Patrizio, protettore dell’Irlanda e degli americani di origine irlandese. Alla base dei quattro lati di questa copertura ci sono dei perni, che sorreggevano strutture contenenti vasi per fiori. E questo spiega, secondo quanto mi dice Stefano, il pellegrinaggio di persone del posto che, per anni, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, continuarono a portare mazzi di fiori. Siamo nel territorio di Vittoria, ci troviamo ad appena un chilometro sia da Acate, sia da Monte Calvo. I militari tedeschi, che erano stanziati nel caseggiato, nell’imminenza dell’invasione anglo-americana della Sicilia, avevano in dotazione una batteria antiaerea, oltre all’armamento tipo di un avamposto germanico in zona di guerra. Il luogo era stato scelto in base alla sua posizione strategica, che consentiva ai tedeschi di controllare Acate, Comiso e il suo aeroporto, il litorale di Macconi fino alla foce del fiume Dirillo e Monte Calvo.
Ci avviciniamo Pepi, Anfora, Iacono ed io al rustico, che copre un’area di tremila metri quadrati e che si presenta subito, ora che vi siamo vicini, come un antico casale fortificato a forma di ferro di cavallo con palazzo padronale o pars dominica, corte interna con pozzo per l’acqua, palmenti per la raccolta delle uve e delle olive da trasformare in loco in vino e in olio, magazzini per il frumento e altri prodotti della terra, stalle per gli animali, laboratori con i principali mestieri per produrre strumenti di lavoro e manufatti della vita quotidiana. Insomma una curtis vera e propria, non medioevale, ma moderna, con sistema economico chiuso e aperto, in cui si produceva ciò che era necessario per il consumo interno e per gli scambi con l’esterno.

Contrada Casazza Acate 3
La corte interna o baglio ha una struttura quadrangolare, in parte saccheggiata da ignoti visitatori diurni e notturni. Immediatamente alla sinistra della scala di pietra, che permette di accedere alla parte padronale, troviamo un capitello con la scritta 1765 VO I> 46. In un altro capitello non molto distante dal primo, un’altra scritta <<904 HG> 179° U.S.>>.

Contrada Casazza Acate 4
Nel 1943, il 10 luglio, un aereo americano con paracadutisti, di cui molti feriti, colpito dal fuoco proveniente da navi amiche, precipitò a cento metri dall’ingresso del caseggiato. Come se fossero caduti vicino ad una fossa di leoni o ad una tana di lupi, i paracadutisti diventarono bersaglio della batteria tedesca. I soldati e gli ufficiali dello zio Sam, che riuscirono ad uscire dal velivolo, risposero al fuoco nemico, ingaggiando una dura battaglia, anche se alla fine morirono tutti.

Contrada Casazza Acate 5
Ancora oggi è possibile trovare rottami dell’aereo, bossoli di mitragliatrici e di K98 MAUSER tedeschi, nonché bossoli e proiettili di Garand americani.
Tutto quello che era in dotazione dei militari statunitensi: cassette, stoffe di paracadute, taniche, borracce, mitra, fucili, baionette, bombe a mano vennero trafugati o trasformati dai contadini e dai proprietari del luogo in oggetti d’uso personale casalingo e campagnolo.
Pepi, Anfora, Iacono ed io lasciamo lo spazio chiuso, ancora una volta
facciamo il giro di tutto il complesso di Case Paternò. Comiso è davanti a noi con il suo aeroporto; alla sua sinistra vedo, in tutta la sua magnificenza e possanza, il vulcano dell’Etna imbiancato di candida neve; Acate con la sua Chiesa Madre e i suoi campanili, che da sempre fanno corna beffarde al visitatore, ed il cinquecentesco Castello dei Principi di Biscari; ed ancora le acque luccicanti della marina di Macconi e l’altura di Monte Calvo, da dove gli americani, che provenivano da Vittoria, cannoneggiarono per l’ultima volta Acate, ormai abbandonata dalle truppe italo-tedesche in ritirata; e da cui si mossero, per salvare il paese dal fuoco statunitense, “il profugo d’Africa, cav. Luigi Fidone, discreto conoscitore della lingua inglese; il calzolaio Giovanni Gallo; il giovane sacerdote Biagio Mezzasalma”.
Esterna ed indipendente dalla costruzione si presenta a noi ciò che rimane della secentesca chiesetta, che doveva avere una estensione,
stando ai modesti ruderi che osserviamo, di sessanta metri quadrati e quindi capace di ospitare per le funzioni religiose la popolazione contadina e padronale del luogo.
Dalle ricerche effettuate e dalle testimonianze avute dalla famiglia Pepi la chiesetta fu abbattuta dalle batterie americane, che bombardavano Acate da Monte Calvo.
Il sole comincia a calare, nel dolce declino i suoi raggi non offendono più gli occhi, mentre permettono di osservare, in tutto il suo verde brillante di questo inverno piovosissimo, l’erba di tutta la campagna circostante. Pepi, Anfora e Iacono sono visibilmente soddisfatti di avermi fatto visitare questo luogo, che fu teatro di un cruento e sanguinoso episodio di guerra, e in cui scaturì un’accesa lite verbale tra Anfora e Pepi, che si trasformò in una solida amicizia e aprì la strada alla stesura di un testo che apporta nuovi dati e notizie sullo sbarco anglo-americano in Sicilia.
Da parte mia sono lieto di avere trascorso un pomeriggio, che ha arricchito il mio bagaglio culturale con la conoscenza di un luogo storico della Seconda Guerra Mondiale, con gli autori di “Obiettivo Biscari”. Ho calpestato un pezzo di terra da tempo figlia del silenzio, che custodisce il lontano tuono dei cannoni americani e il crepitio delle mitragliatrici tedesche, un luogo dove ancora ai fortunati visitatori potrà succedere di trovare qua e là bossoli schegge e arrugginiti rimasugli di rottami di armi e di mezzi, che furono portatori di dolore di morte di desolazione.
Mi fermo ancora a guardare la piramide e la croce con gli otto buchi, gli amici mi dicono che dovrebbero essere interessate le autorità militari statunitensi per il recupero e il restauro dell’edicola storica innalzata a San Patrizio. Io abbasso la testa, in segno di assenso, poi a parole riesco a proferire che sì, questa è la cosa più giusta da fare. L’esercito degli Stati Uniti sa onorare tutti i propri soldati in qualunque parte della terra essi combattono e muoiono. Noi, forse, lo sapremo fare in un futuro vicino o lontano, quando, sopra i morti delle nostre guerre, non sarà più buttato il fango delle ideologie politiche.

Prof. Antonio Cammarana
Via Duca D’Aosta n. 58
Tel. 0932874261 – C.A.P. 97011 Acate (RG)

Il lavatoio di contrada Canale: Cammarana e Cultraro presentano il Quaderno della “Biblioteca dell’antica Biscari e della valle dell’Acate”


Lavatoio circolo conversazione acate

“Il Lavatoio di contrada Canale, luogo d’incontro e simbolo del duro lavoro quotidiano”. E’ questo il titolo del Primo Quaderno della Biblioteca dell’Antica Biscari e della Valle dell’Acate, pubblicato dal professore e storico Antonio Cammarana e dal giornalista pubblicista e studioso del territorio Salvatore Cultraro.
Il volumetto è stato presentato, nel corso di una manifestazione patrocinata dall’Amministrazione Comunale di Acate, tenutasi venerdì 27 dicembre 2013 nei locali dello storico Circolo di Conversazione di Piazza Libertà, alla presenza di un folto ed attento pubblico. “Il lavoro – frutto di una minuziosa ricerca storica a seguito del ritrovamento sia delle tavole del progetto originario del 1910, redatto dal perito agronomo di Niscemi, Rosario Cavalieri Iacono; sia della richiesta all’Autorità competente, in data 10 novembre 1910, del dottor Francesco Licitra, Ufficiale Sanitario di Biscari; sia della relazione del Regio Commissario Straordinario Gianani Giovanni, pronunciata nella seduta del nuovo consiglio comunale di Biscari in data 5 febbraio 1911 – vuole essere, come hanno spiegato gli Autori, il punto di partenza per la realizzazione di un successivo percorso storico, didattico, paesaggistico ed archeologico, che avrà il suo fulcro nella contrada Canale e nella splendida valle dell’Acate”.

Il professore Antonio Cammarana, nel corso del suo intervento, ha messo in evidenza che “lo studio monografico, Il Lavatoio di contrada Canale, si presenta come documentazione d’epoca, vagliata con il rigore dell’indagine metodologica volta a penetrare, all’interno del tempo storico esaminato, il mondo umano nella sua concreta e sofferente realtà esistenziale; punto di partenza di un progetto di rivalorizzazione e di salvaguardia di quei valori paesaggistici, che rischiano di essere cancellati per sempre ed infine strumento di cultura pluridirezionale, perché, attraverso un itinerario non solo storico, ma anche di forte valenza didattica, rivolto agli studenti, ai giovani, agli appassionati di storia locale del nostro paese, consentirà il raggiungimento di obiettivi validi sul piano scolastico e l’assimilazione di conoscenze, che andando oltre l’utilizzazione immediata, costituiscono una solida base di conoscenze per il futuro”.
Il Lavatoio Comunale, quale luogo d’incontro e di duro lavoro quotidiano per le donne di Biscari, è stato il tema centrale dell’intervento dell’altro autore del volumetto, il giornalista pubblicista Salvatore Cultraro. “Non è raro vedere in quadri, stampe e fotografie dell’Ottocento e dei Primi del Novecento- ha sottolineato Cultraro- immagini di donne piegate, curve su pietre intorno a grandi vasche o a canali di acqua intente a lavare panni. Probabilmente un tributo da parte degli artisti per sottolineare che, pur nella fatica quotidiana, quelle figure erano donne prima che lavandaie. Ormai grazie all’avvento delle lavatrici, sempre più sofisticate, lo sforzo più grande che oggi si può fare è quello di caricarle e successivamente stendere ad asciugare gli indumenti. Eppure vi fu un momento in cui la costruzione di un lavatoio pubblico coperto era percepita da una comunità come una irrinunciabile conquista sociale. Le antiche lavandaie non avevano la lavatrice in casa e non avevano l’acqua corrente. Però avevano le vasche di zinco. Già pesanti da vuote, se le appoggiavano su un fianco, colme sino al bordo e partivano per il lavatoio. Un grande lavatoio comunale si trovava anche a Biscari, in contrada Canale, dove le nostre lavandaie arrivavano spesso, subito dopo il levar del sole. Costrette a lavare gomito a gomito, non mancavano ogni tanto i litigi per questioni di spazio.
Altre cantavano, pettegolavano, commentavano i vari avvenimenti paesani. Un quotidiano di tribolazioni e di miseria affrontato con realismo e coraggio che rendeva le nostre lavandaie un pò dure, animose mai vittime”.

Lavatoio circolo conversazione acate  Giovanni Pignato

Parole di elogio, per il lavoro dei due storici-ricercatori, sono state espresse dal presidente del Circolo di Conversazione, professore Giovanni Pignato, dopo aver ringraziato e salutato i numerosissimi presenti, comprese le autorità istituzionali e la stampa, per aver preso parte al decimo ed ultimo incontro culturale organizzato nel 2013 dallo storico Circolo di Conversazione. “I nostri relatori di oggi-ha sottolineato il professore Pignato- illustreranno gli usi e i costumi di un tempo lontano e di un luogo distante dal centro abitato, da raggiungere spesso a piedi, ma che era punto d’incontro per donne ed uomini, simbolo del duro lavoro quotidiano”.
“L’importanza di questo lavoro di ricerca, realizzato in un particolare momento di totale sconforto per le conseguenze della preoccupante crisi economica che ci attanaglia”, è stata evidenziata nel suo intervento, dal sindaco di Acate, Francesco Raffo. “Con questo lavoro sul Lavatoio Comunale di contrada Canale- ha dichiarato il primo cittadino, rivolgendosi agli autori del volumetto-ci state insegnando ad amare nuovamente i luoghi legati alle nostre origini, spesso intrisi di ricordi tristi di duro lavoro e di sofferenza”.

La recente riscoperta e rivalutazione di importanti monumenti del nostro passato è stata evidenziata dall’assessore alla Cultura, Luigi Denaro. “E’ dal 1950- ha dichiarato visibilmente amareggiato, il dottor Denaro- che Acate viene deturpata e derubata di tutti i suoi beni culturali ed artistici. Dagli anni Novanta fino ai nostri giorni c’è stato solo qualche intervento sul territorio, che ha riportato alla luce monumenti importanti del nostro passato per iniziativa di alcuni volenterosi tra cui il sottoscritto ed il Parroco don Rosario Di Martino”. Quindi il titolare della delega alla Cultura ha concluso auspicando che “anche il Lavatoio Comunale possa essere restaurato eventualmente con fondi o collette private”.
“Quello che più mi ha colpito di questa pregevole ricerca storico fotografica- ha invece dichiarato la scrittrice Teresa Carrubba nel suo intervento- non è solo l’impegno o l’argomento che tratta, e che la rende degna di merito, ma l’angolo visuale che la connota, soprattutto per una semplice condivisione di punti di vista. Il taglio metodologico, infatti, a me sembra motivato da ragioni etiche e storiografiche, che fanno rivivere in tutti noi sentimenti sopiti, mai dimenticati”. Quindi la scrittrice ha rievocato commoventi ricordi legati alla figura del padre Gabriele (egli stava come sospeso tra il ricordo e il rimpianto nostalgico di quelle allegre scampagnate fatte nel giardino di proprietà della famiglia, che si trovava a due passi dal lavatoio, e dove erano soliti riunirsi i fratelli Carrubba quando gli impegni di lavoro lo consentivano. I suoi ricordi mi offrivano una chiave per aprire altri ricordi: i miei, una carrellata di avvenimenti in cui mi rivedevo bambina in giro per il lavatoio che già mostrava i segni dell’abbandono), ed ai suoi contatti con il pittore Biagio Carpinteri, che nel corso della serata ha esposto al Circolo alcune delle sue recenti opere, contatti che portarono alla realizzazione del bellissimo dipinto, un olio su tela, ordinato proprio da Gabriele Carrubba, raffigurante una ricostruzione della contrada “Canale” con la presenza di alcuni membri della sua famiglia.
Dipinto che Antonio Cammarana e Salvatore Cultraro hanno voluto inserire come preziosa immagine di copertina nel loro lavoro.
A conclusione dei lavori un breve intervento della professoressa Maria Giovanna Baglieri, la quale ha ricordato le sue iniziative finalizzate al recupero e restauro del Lavatoio Pubblico all’epoca della sua esperienza amministrativa quale assessore alla Cultura nella giunta Battaglia. Quindi, prima del momento di festa conclusivo, per il tradizionale scambio di auguri di fine anno, il presidente del Circolo di Conversazione ha voluto consegnare a tutti i relatori un prestigioso attestato, in ricordo dell’Evento storico.

Redazione