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“Il suonatore di contrabbasso”, una lirica di Giovanni Lantino commentata da Antonio Cammarana

Il suonatore di contrabbasso
“Diario 28” è il primo libro di poesie di Giovanni Lantino; è suddiviso in quattro sezioni (L’Artide 1983-1988, Poesia Elucubrazione 1989-1993, Parole della Rivoluzione 1999-2009, Autocomunicazioni 2010-2011), più un Intermezzo (Sul divano), scritte nel lungo arco di tempo di 28 anni; è un viaggio dell’anima, che fa dell’Autore un poeta delle emozioni dell’anima.
Dove il verso è più semplice, più piano, più attenuato fino a farsi modo poetico sommesso, Giovanni Lantino raggiunge i suoi effetti più intensi, dandoci una poesia singolare, di notevole perspicuità psicologica con “Il suonatore di contrabbasso”, tipo riservato posato celato. Tutti i musicisti si muovono freneticamente, trascinati dal ritmo della musica. Il suonatore di contrabbasso, impassibile, rimane quasi immobile e avvinghiato al suo strumento, lo accarezza con le dita come se si trattasse di una donna (la forma del contrabbasso richiama molto il corpo femminile). Pur nella sua staticità è lui a dare il tempo agli altri, con il suono quasi impercettibile delle corde, ma così importante per la ritmica del trio, senza il quale niente nell’improvvisazione jazzistica è lo stesso.
L’immagine è una metafora di quello che accade nella vita. Spesso non sono le cose più appariscenti o le persone che si mettono in primo piano a risultare indispensabili, ma quelle che stanno in disparte, che non si mettono in mostra, che agiscono, che rimangono attaccate alle cose semplici, essenziali e le rendono importanti. Proprio come il suonatore di contrabbasso, che, con il suo strumento e il suo suono, regola tutto e lo rende armonia.

Antonio Cammarana

Il suonatore di contrabbasso
E’ un tipo discreto,
sta sempre dietro
e non si agita troppo.
Nascosto nell’ombra
dà il tempo
e non è poco.
S’aggrappa allo strumento
come fosse la vita,
gli vibra tra le mani
come donna amata,
versando note
perdute in un istante
e mai dimenticate.

Giovanni Lantino

Saro, una pagina critico-letteraria.

Saro Violante Gasparino
Dopo aver letto “All’ombra della vita”, che ha come sottotitolo “Abitanti di un mondo diverso” di Maria Teresa Carrubba, mi sono convinto di trovarmi di fronte ad un testo che si colloca tra il saggio storico, la narrativa d’ambiente, la moralità leggendaria, la memoria in parte (minima) propria, in parte (massima) d’altri. Un testo che presenta i vari personaggi in modo ora descrittivo e umano (Tura ), ora prolisso e sanguigno (Storia di Nina), ora sintetico e conciso (Saro), ora espositivo e compassionevole (Il caro, bizzarro Nené), ora insolito ed eccentrico (Titta, filosofo solitario).
Il personaggio più interessante mi è sembrato ” Saro”, battezzato dal paese ” Saro dalla gamba storta”: piccolo di statura, animo semplice e puro, mai invadente, abitante del Convento dei Cappuccini, sposo della miseria. Ebbe come unico compagno un jò-jò, che teneva in mano e da cui non si separava mai, trascorse tutti i suoi giorni senza fare rumore e in silenzio uscì di scena.
“Saro” completa la piccola galleria dei personaggi anche anonimi, che
affollano il mondo diverso descritto in ” All’ombra della vita” con un’arte che trae dalla quotidianità – che non appartiene a nessuna scala sociale – una realtà di sentimenti genuini e puri. Maria Teresa Carrubba ci ha restituito la memoria del personaggio di “Saro”.
“Saro” ci insegna la discrezione, la non intromissione, la vita possibile, il palcoscenico silenzioso, l’infanzia che non conosce la maturità, il coraggioso totale rifiuto della società quale è di fatto.
Se mai ” Saro” ha realmente vissuto la sua vita così come racconta Maria Teresa, la sua è stata un’esistenza felice anche nell’indigenza e coerente con la scelta coraggiosa che l’ha determinata.
Con la presentazione di “Saro” e degli altri personaggi Maria Teresa Carrubba tocca, con fine sensibilità, la realtà umana e si avvicina alla realtà letteraria, testimoniando, infine, un concreto travaglio di formazione verso un’arte personale e originale.
Ma già di Maria Teresa Carrubba avevamo apprezzato le pagine de “Il cuore delle donne, il cuore di mia madre”, racconto che ci aveva portati in un mondo antico e sincero, ingenuo e privo di malizia e di cattiveria, il cui personaggio più riuscito è “Razzudda”.
Quando l’autrice, facendo leva sulla memoria (la memoria personale e lontana), si abbandona alla trascrizione dei sentimenti, che via via affiorano nel corso della narrazione, proprio allora scopriamo la ricchezza della sua umanità nelle parole che riesce a trovare per “Razzudda”, il personaggio più originale e commovente del racconto.
“Razzudda” è una figura di forte letterario valore; è creata con tocco
rapido e sicuro; cattura la nostra attenzione e simpatia con la sua autistica solitudine e con la sua incontaminata innocenza di donna–bambina.

Antonio Cammarana

“Notte serena”, la poesia di Antonio Cammarana con il commento di Salvatore Stornello

Salvatore Stornello - Antonio  Cammarana
Notte serena

Notte serena,
il nero tuo manto,
sulla terra,
al riposo chiama
le umane creature,
le viventi specie
di piante di animali.
Notte serena,
alla veglia io sono.
Una malinconia antica,
mistero sconosciuto
insondabile,
mi accarezza e mi stringe
il cuore.
Fiaba della memoria,
fiaba lontana,
fiaba arcana.
Notte serena,
al riposo chiamami.
La fiaba arcana,
la fiaba lontana,
la fiaba della memoria
dalla mia mente
allontana.
Notte serena,
al mio cuore
dài quiete.

Antonio Cammarana

Al Castello dei Principi di Biscari, il 27 dicembre 2011, in occasione del 30° Anniversario dell’AVIS provinciale di Ragusa, è stata illustrata da Salvatore Cutraro, Vicepresidente di questa nobilissima Associazione di volontari di Acate, la silloge “Fiaba d’inverno e altre poesie” del prof. Antonio Cammarana, presenti i responsabili locali (Salvo, Spada, Cancellieri) e il direttore Sanitario, Giovanni Garozzo.
“Notte serena”, ultima lirica della raccolta, è una felice immagine simbolica di poetica musicalità, che si apre con la descrizione del manto notturno, che chiama al riposo uomini piante animali; prosegue con la sensazione di indefinita “malinconia antica”, che la memoria restituisce, per un fuggevole attimo, come “mistero sconosciuto” e “insondabile”; si conclude con una domanda di quiete.
I versi liberi, lo stile essenziale, il viaggio di metafore sembrano creare, con lo sguardo del cuore, l’incanto di una realtà senza tempo.

Salvatore Stornello
dott. in Psicologia